L’Accademia Tadini


L’archeologia nel Settecento e il grand tour

Preparare la visita

Cosa c’è da vedere/per approfondire

I viaggiatori stranieri chiamavano “Grand Tour” il lungo viaggio in Italia, che veniva compiuto dai membri dell’aristocrazia europea tra Sette e Ottocento con lo scopo di completare la propria formazione e perfezionare il proprio sapere. Così farà, nel 1794, la famiglia del conte Luigi Tadini.

Le mete più apprezzate al nord erano Venezia e i laghi di Garda e di Como, al centro e sud Italia Firenze, Roma e Napoli erano tappe quasi obbligate. Lo stato delle strade, spesso pericolose per la presenza di briganti, la rete poco diffusa di alberghi e locande obbligavano tutti i viaggiatori a muoversi in gruppo e lungo percorsi quasi obbligati. D’altronde, il viaggio non era considerato, come oggi, uno strumento per conoscere usi e costumi di altri popoli, ma piuttosto come la scoperta della bellezza del paesaggio italiano, carico di suggestioni classiche (i viaggi di Ulisse e di Enea) e la riscoperta dell’antico.

Le rovine di Roma, di Ercolano e Pompei, le città sepolte riscoperte a partire dal 1738, rappresentavano per i visitatori una grande attrattiva. L’archeologia, che nasce come disciplina proprio in quegli anni, consentiva di portare alla luce oggetti antichi di grande fascino, che spesso ispiravano rifacimenti “in stile”, come le tazze del cosiddetto “Servizio di Ercolano” prodotto a Napoli dalla Real Fabbrica di porcellana. Le visite erano completate con l’acquisto di “souvernir”, ma anche di antichità che venivano portate nel proprio luogo di origine.

È proprio in quegli anni che matura il concetto di patrimonio culturale e dell’importanza del suo legame con il territorio. Per arginare la fuga di antichità gli stati promulgano leggi di tutela: comincia lo stato Pontificio con vari editti a partire dal 1733, continuando con il Ducato di Firenze (Convenzione di famiglia Medici-Lorena, 1737) e il Regno di Napoli nel 1755.

La prima vera legge di tutela dello stato italiano è del 10 giugno 1909 «Per l’antichità e le belle arti», successivamente aggiornata fino all’attuale «Codice dei beni culturali e del paesaggio» del 2004.

In base alla legislazione attuale si intende per archeologico un oggetto rinvenuto sottoterra o in mare a partire dall’anno 1909, e sono tutti proprietà dello stato.

Attività per i bambini

Ciao. Sono il bassotto Serafino, amico di Faustino, il figlio del Conte Tadini. Sono piccolo e nessuno fa caso a me, ma io vedo tutto e vado dappertutto. E vi posso raccontare un sacco di cose....

La brocca del vino

Se questo vaso vi sembra di averlo già visto in casa, avete proprio ragione. È una brocca che gli antichi greci chiamavano oinochoe e usavano per portare il vino a tavola.

A quei tempi non c’erano le bibite o i succhi di frutta, neppure il caffè o il tè oppure le tisane. I bambini bevevano acqua (ma senza bollicine) e qualche volta anche il latte (ma di capra!). Se andavi in Egitto, trovavi una birra un po’ strana che dovevi bere con la cannuccia perché era piena di pezzettini di paglia dentro. I greci bevevano il vino, anche se lo allungavano con l’acqua.

Il vino stava nelle botti e, una volta aperte, dovevi bere in fretta sennò andava a male. Per servirlo lo mettevano dentro vasi come questo che erano molto comodi. La brocca ha un manico per prenderla e sulla bocca un beccuccio così non rovesci il vino quando versi. Così comodo che hanno continuato a farla uguale fino ad adesso! Cambiano solo i disegni e il colore.

E le bottiglie di vetro? Manco quelle avevano e neppure i tappi, che verranno inventati molto dopo.


E adesso giochiamo!

Brocca da vino (oinochoe) in bucchero (argilla scura), probabilmente di manifattura etrusca, databile intorno al VI secolo a.C.. Il bucchero era apprezzato perché la sua superficie lucida e scura imitava i preziosi e costosi vasi in metallo. Insieme alle due coppe (kylix) era utilizzato nei banchetti.

Per bere e per giocare

Nei pranzi importanti nessuno beve mai il vino con il bicchiere dell’acqua, è proprio da maleducati!

Per gli antichi greci era lo stesso e questa tazza, che si chiamava kylix, serviva per bere il vino durante i grandi banchetti: proprio come una coppa di champagne.

La impugnavano prendendola dal piedistallo, mentre erano sdraiati sui loro divani. A noi sembra scomodo mangiare distesi e appoggiati sul braccio, ma per loro era poco dignitoso mangiare seduti. Pare che questi banchetti per noi cani fossero una pacchia, perché mangiavamo tutto quello che cadeva.

Quando erano tutti un po’ brilli, dopo aver cantato, chiacchierato e ascoltato musica, facevano un gioco: dovevano colpire un bersaglio, spesso un piatto o un vaso, tirando il vino rimasto sul fondo della kylix che veniva tenuta attraverso uno dei manici (ansa) con una mano.

Chissà che disastro i muri, avranno sporcato ovunque!


E adesso giochiamo!

Le due coppe da vino (kylix) probabilmente prodotte in Italia sono in argilla modellata, cotta e successivamente dipinta a vernice nera, per imitare la più raffinata produzione ceramica etrusca in bucchero. Si datano al sec. III-II a.C.

L’uomo più forte del mondo

Di tutti gli eroi antichi Ercole è il mio preferito. Era forte come Hulk, ma anche generoso e coraggioso come Superman. Ed essendo il figlio della regina Alcmena e di Giove il re degli dei, era un semidio quasi invincibile.

A me piace perché nonostante abbia sconfitto Cerbero, un tostissimo mastino a tre teste che era l’eroe di tutti noi cani, non gli ha fatto male e poi lo ha anche lasciato libero.

In questa statuetta in bronzo è raffigurato con una pelle di leone appoggiata sul braccio: si tratta del leone di Nemea, un animale prepotente e speciale perché la sua pelliccia era impossibile da trafiggere con frecce o lance oppure da colpire con bastoni. Per sconfiggerlo Ercole lo strinse con un abbraccio fortissimo e si tenne la sua pelle come trofeo.

Questa statuetta probabilmente stava su un piccolo altare casalingo, davanti al quale la famiglia si riuniva per pregare.


E adesso giochiamo!

Eracle, con una fitta barba e con i riccioli trattenuti da una tenia annodata sul collo, è presentato qui in riposo. il braccio destro è disteso lungo il corpo, il sinistro piegato a gomito sostiene una realistica pelle di leone. Il bronzetto, di produzione italica, risale al IV secolo a.C., ed era probabilmente destinato ad un tempietto votivo familiare (larario).

Cortesie per gli ospiti

Bello questo vasetto vero?

Gli antichi greci lo chiamavano Lekythos e serviva per contenere olio di oliva. Ma mica lo usavano per condire l’insalata!

A quel tempo non esisteva il sapone e per tenere la pelle pulita ed elastica usavano proprio l’olio di oliva, magari mischiandolo con erbe aromatiche. Era un prodotto di lusso e veniva offerto agli ospiti quando venivano a casa, in segno di cortesia e gentilezza. Ci pensate che storia ungere una vostra amica o un vostro amico quando viene a giocare?

Lo usavano proprio tutti, donne e uomini, gli atleti prima delle gare ma anche i guerrieri prima della battaglia, proprio come quelli dipinti sul vasetto che, armati di elmo e scudo, combattono con una lancia. Quello con una gamba dipinta sullo scudo sta perdendo e sembra stia cadendo, mentre l’altro lo incalza.

Chissà perché stanno combattendo…

Però, a dispetto della violenza della scena, nell’aria aleggia un profumo di olio e magari di rosmarino.


E adesso giochiamo!

Vasetto per unguenti (Lekytos) del 500 a.C. circa. Si tratta di una ceramica a figure nere di produzione attica, probabilmente acquistata nel corso del viaggio del conte Tadini a Napoli. La scena figurata, che occupa il corpo del vaso, vede due guerrieri, armati di elmo, lancia e scudo, affrontarsi e cozzare fra loro con le lance alla mano.

Il grande viaggio

Io sono stato fortunato a essere amico di Faustino, il figlio del conte Luigi Tadini. Tutti i cani di mia conoscenza non si sono mai mossi da Lovere, perché all’epoca non esistevano le vacanze e si lavorava sempre. Si viaggiava solo per andare alle feste nei paesi vicini. Ma Faustino era ricco, e quando ha compiuto 21 anni il suo papà Luigi e la sua mamma Libera gli hanno regalato un viaggio in Italia, e hanno portato anche me.

Ho visto posti bellissimi come Venezia, Firenze e Roma e Napoli.

Posti pieni di novità, che mi sono piaciute molto: il sole caldissimo, il mare con tutta quell’acqua che si muove sempre, che a berla sa di sale, così diversa dal Lago d’Iseo. E poi il Vesuvio, con il fumo che usciva.

E soprattutto il cibo. Chi li aveva mai visti gli spaghetti? Sembravano strani ma una volta assaggiati nessuno di noi voleva più smettere.

Al conte papà di Faustino piaceva l’archeologia e tutte le cose degli uomini antichi. Andavamo a visitare musei e scavi, ma soprattutto il conte papà cercava di comprare oggetti antichi.

Ora mi dicono che non è più possibile, ma all’epoca era assolutamente normale.

Erano vasi greci bellissimi, con figure dipinte sopra, che nessuno a Lovere aveva mai visto.

Quanto siamo tornati a Lovere il conte li ha messi nel museo in una sala tutta dipinta, venivano anche da lontano a vederli. Era come se avessimo portato anche un poco di sole e di acqua salata (e magari avessimo portato anche gli spaghetti!).

Anche adesso è così, questi oggetti archeologici sono diversi da quelli che si trovano scavando in questa zona.


E adesso giochiamo!

Gioco in museo

Al conte Luigi Tadini, il papà di Faustino, l’archeologia era proprio piaciuta moltissimo e nel Gran Tour cercava sempre oggetti per la sua collezione.
A quel tempo era una novità e un po’ tutti andavano matti per i tempi passati, tanto che anche sulle porcellane che si usavano per mangiare o bere spesso si mettevano disegni che ricordavano quelli antichi.

Nella sala qui a fianco ce ne sono alcuni. Riesci a ritrovarli?
Tu però, dopo averli trovati, prova a pensare a cosa servivano gli oggetti.
E secondo te cosa fanno le persone raffigurate?


E adesso giochiamo!